Oggi vi presentiamo un’operetta davvero gustosa: Il maestro di casa di Cesare Eviscandali (o Evitascandalo, nomen omen…) nell’edizione viterbese stampata dai fratelli Discepoli nel 1620.
Rara, ricercata e bella edizione di questa fortunata operetta, apparsa originariamente a Roma nel 1598. L’edizione viterbese è dedicata dal tipografo Pietro Discepolo a Francesco di Guevara, vicelegato pontificio della città e presso il quale Evitascandali prestava al tempo servizio, dopo aver lasciato il palazzo romano del cardinale Sauli. Evitascandalo scrisse quest’opera nel 1576 durante la peste a Venezia, mentre era al servizio dell’Ambasciatore Vito Dorimbergo. Nel Maestro di casa si discute, in forma dialogica ed in dettaglio di tutte le mansioni dello scalco, del trinciante, del bottigliero, del coppiero, del cameriero, del credentiero, del cuoco, del computista, dello spendiero, precisando le varie qualità necessarie per i singoli offici. Spiega inoltre i vari modi di imbandire la tavola, elenca i piatti e i preparativi per feste e occasioni particolari.
La seconda parte, introdotta da frontespizio proprio, comprende la Breve aggionta al dialogo del maestro di casa, inserita dall’autore a partire dal 1606. Di particolare interesse storiografico le parti di computisteria sulla gestione ordinata ed analitica di una cucina.
CUOCO.
Quale doverà essere più tosto giovane, che vecchio; & che s’habbia havuto buona informatione dell’esser suo, & sua sufficienza, sì del saper lavorare pasta d’ogni sorte come ancora di molti pottaggi e minestre per sani & amalati. Et sopra tutto sia netto di mani.
Muzio: Questo dir netto delle mani, vuol dir che non rubbi?
Orazio: Et questo ancora; ma dico adesso che non habbia rogna sopra esse, nè male alle gambe.
M. Io più tosto, che mangiar vivanda fatta per le mani rognose, mi morirei di fame.
O. Doverà esser trattabile, perchè si trova tal’uno che fa il capriccioso, che neanco lo Scalco li può comandare.
M. Un tale non lo bisogna tenere.
O. Nè anco metterlo in casa. Et sopra il tutto che non s’imbriachi, che questo è il maggior vitio di tutti.
M. Credo che con difficultà se ne trovino, dando la colpa al fuoco che gli asciughi, & facci venir sete.
O. Io conosco di quelli, che quanto più hanno da lavorare, tanto meno beveno, & a me ne sono passati molti per le mani. Questo doverà stare all’obedienza de lo Scalco, in quello gli comandarà per servitio della tavola.
M. Potrà lo Scalco porlo, & levarlo di casa?
O. Potrà prima parlarne col Maestro di Casa, & quello acconsentendo, con legittima causa licentiarlo; havendone prima fatto parola col Principe. Doverà fare che’l suo garzone (qual sarà preso da lui) sia quieto, & li facci far bene il suo servitio, si deve tener netta la cucina, come ben nette, e fregate le massaritie di rame, come di ferro, ò terra; la qual cucina doverà esser ariosa, lucida, & non vi facci fume.
M. Ho veduto delle cucine di Venetia, che non si può trovare la più polita cosa.
O. Quelle sono massaritie che non si adoprano, quali si tengono per mostra, essendo che li Venetiani si dilettano assai di tenere una casa polita, e netta. Non lascierà entrare alcuno in cucina segreta, se vi sarà, & massime in tempo che vi sia la vivanda del Principe, la qual doverà esser tenuta con gran riguardo, & non permetta chel’suo garzone ponga mano in essa. La farà tener fornita di legna, e carbone a bastanza, secondo l’ordine che li sarà dato dal Maestro di Casa; & non facci più fuoco di quello che sia bisogno. Et perchè l’inverno tutti vogliono delle bragie per scaldar il letto, no permetterà che ne sia data ad alcuno sino che’l Principe no habbia cenato.
M. Io credo che se si volesse dar bragia a quelli che ne vogliono, non solo la sera per il letto, ma tutto il giorno con foconi, li servitori tornariano più volte in cucina per essa, che nè anco vi lasciariano la cenere calda. Tanto gli si potria dire, che non debba accender fuoco la sera, perchè si levariano tutte le sorti d’occasioni.
O. Questo si doverà fare. Non doverà buttar sopra il fuoco per farlo ardere lardo, cotiche, nè oglio fritto, come molti fanno.
M. L’oglio fritto, & cotiche di lardo non sono regaglie del Cuoco?
O. Non bisogna dargli niuna sorte di regaglie, perchè dandogli le cotiche, lui le tagliarà grosse; se la cenere, ponerà legna assai sopra il fuoco per farne molta; se l’oglio fritto, ne metterà molto più nella padella di quello che fusse abbastanza.
M. Che si farà dunque di questa sorte di robba?
O. Le cotiche molte volte servono per la stalla per ongere le ogne de cavalli. La cenere si darà alla lavandara, facendosi tanto più basso il prezzo della lavatura de panni. L’oglio fritto, si abbrugiarà in cucina, dove si sparagnarà l’oglio buono, overo le candele. Li colli, & altre robbe de polli se ne può far una, e doi sorte di vivande per empir la tavola, che quando si dassero à Cuochi, non lassariano ne colli, nè ale, nè piedi, nè fegato, nè cuore in corpo à qualsivoglia volatile.
M. Questa mi pare una buona ragione.
O. Io l’ho trovata molt’utile.